giovedì 2 luglio 2015

Non finirà tutto a feta e vino.

(Jens Kalaene/picture-alliance/dpa/AP Images)

Il mio punto sulla Grecia: Tsipras ha fatto un casino.
Davvero, faccio fatica a capire come si possa sostenere che il buon Alexis sia un volpone, e abbia fatto una serie di mosse sagaci. A mio modo di vedere, indicendo il referendum ha portato il suo paese in una posizione di debolezza assoluta, perdendo le leve che poteva ancora usare. Il motivo mi è oscuro, a meno di non considerare un cinismo estremo.
Mi spiego: l'attuale situazione rappresenta un win-win per la Troika (che però non si deve chiamare così, eh), e due calci nei denti per il popolo greco. Le vituperate istituzioni europee hanno tutto l'interesse che il referendum si svolga, e non è un caso che diversi ministri dell'eurogruppo, Schauble in particolare, abbiano in questi giorni più volte confermato che qualunque trattativa si riaprirà dopo il voto. Nonostante i deboli tentativi del governo greco di negarlo, i greci dovranno decidere del loro futuro all'interno della moneta unica. In ogni modo, questo è ciò che vogliono gli altri paesi, e di nuovo non è un caso che molte voci lo abbiano chiarito senza mezzi termini (tra questi anche Renzi).
Decidendo per il no, i greci si espellerebbero da soli dall'euro, e ne porterebbero la responsabilità. La zona euro si libererebbe di uno scomodissimo membro, ora che l'esposizione delle banche nei confronti dei debiti ellenici è del tutto trascurabile, e potrebbe semmai intervenire in seguito al disastro per aiutare i poveri sfortunati a gestire un default controllato. Alle condizioni che preferisce, naturalmente, e sperando persino di recuperare parte dei crediti. Presente le privatizzazioni che non si volevano fare? Sento già teutonici ministri in sedia a rotelle che ridono.
Decidendo per il sì, invece, i greci sconfesserebbero il proprio governo portandolo verosimilmente alla caduta, e aprirebbero la strada a un governo di unità nazionale con tutt'altra disposizione nei confronti delle trattative europee. In ogni caso toglierebbero ai futuri governi qualunque potere di leva nelle negoziazioni, avendo legittimato l'austerity con un voto popolare esplicito. Qualunque richiesta sarebbe assai più difficile da trattare, e tutto, se non la personale cortesia dei tedeschi, sarebbe contro di loro.
Dunque doppia vittoria per gli ultrà del rigore, quelli che andavano sconfitti, e doppia sconfitta per la povera casalinga di Salonicco. Cosa ci guadagna Tsipras da questa situazione? Gran poco. L'idea che mi viene, e che però avrebbe un livello di cinismo piuttosto intollerabile, è quella che ai fini del mantenimento del potere, sia disposto ad accettare tutte le conseguenze. Dal punto di vista politico, il governo greco aveva già varcato la linea di non ritorno: le misure chieste dall'Europa, anche nelle versioni edulcorate via via proposte da Varoufakis, non sarebbero state accettate da gran parte della coalizione che lo tiene in piedi. Per passare avrebbero avuto bisogno dei voti dell'opposizione, causando di fatto una crisi politica. Che non avesse interesse, Tsipras, a raggiungere un accordo ormai così vicino alle posizioni europee? A me pare ciò che è successo negli ultimi giorni, riflesso sia nelle parole di Juncker - si era arrivati a discutere di una differenza di 60 milioni di euro tra le due parti, quando Varoufakis ha ritirato i negoziatori - che in quelle del capo degli inviati greci Tsakalotos, che cerca disperatamente di far passare il voto sul piano come "parte dei negoziati".
Dunque, un all-in: si faccia il referendum; se passa il sì noi approviamo le misure e ve lo siete voluto voi, se passa il no usciamo dall'euro, e di nuovo ve lo siete voluto voi. È uno scaricabarile di proporzioni colossali. Chi presenta la consultazione popolare come un successo per la democrazia (tipo, dai, Fassina), vive per me in un altro mondo. Io la vedo semmai come un fallimento della democrazia rappresentativa, quella per la quale un governo che viene eletto si prende l'incarico e la responsabilità di fare scelte politiche. Il barbiere di Rodi ha infatti delegato un governo con il preciso scopo di occuparsi di materie complicate, sulle quali lui non ha competenze. Ricorrendo ad un referendum poco chiaro, in cui esistono solo due scelte (prendere o lasciare), su una materia complicata e con conseguenze pericolose, indetto in fretta e furia e con il governo che esprime una posizione netta a favore di una delle possibilità -non- è un atteggiamento democratico. Proprio per niente, eh. Persino il Consiglio di Europa, che non ha nulla a che vedere con l'Unione Europea e si occupa invece di diritti umani, ha criticato duramente questa imposizione. Una chiara posizione tenuta dal governo greco, invece, avrebbe quantomeno dimostrato che lo spazio per le negoziazioni non è infinito, e avrebbe posizionato la responsabilità di cedere a una soluzione nelle mani di entrambi.
Ciò detto, che dovrebbero fare gli europei? Ricordarsi chi sono, da dove vengono, e dove vogliono andare. La Grecia ha truccato i conti per anni, di fatto truffando il resto dei paesi della zona euro. Quegli stessi paesi hanno poi versato nelle disastrate casse di Atene una grande quantità di denaro. Per dire, alla Grecia sono già stati concessi 240 miliardi di euro in prestiti dall'ESM, quando il grande piano Juncker di rilancio degli investimenti europei conta neppure 300 miliardi (e molti di questi non sono neanche investimenti diretti, ma stime di ricadute a cascata). Ciò è stato fatto più per evitare il collasso dei propri sistemi bancari pieni di titoli tossici che per solidarietà, ma tant'è. Questi soldi non sono arrivati gratis, e sono già costati ai cittadini greci una grandiosa dose di sacrifici e paura, in particolare a coloro che sono fuori dall'ombrello della spesa sociale greca, inefficente ed inefficace. Non si può dire che siano stati poi ben spesi, visto che praticamente sono serviti solo a ripagare interessi sul debito (a quegli stessi paesi che li hanno concessi, curioso no?), e hanno portato a ben poche riforme strutturali. Poi è arrivata Syriza, e i governi europei hanno reagito con stizza all'atteggiamento rivoluzionario di Tsipras. C'è, nelle infinite trattative degli ultimi mesi, il desiderio di dare una lezione al ribelle, di fargli capire chi tiene le redini in Europa - alias, i cordoni della borsa. Gli altri paesi mediterranei (Italia compresa), che certo non sono in questa posizione, sono però diventati più lealisti del re, per dimostrare ai mercati che loro sono diversi e che ci si può fidare. Paradossalmente, si preferirebbe trattare con un governo greco a guida Nuova Democrazia, che è proprio il partito che ha truccato i conti e ci ha fregati tutti, ma che di certo è più malleabile.
Io non sono un fan dell'austerità fine a sé stessa. Non mi piacciono e non capisco il senso di misure punitive, che non puniscono nessuno se non i popoli, e rischiano di generare problemi peggiori (vedasi un certo Adolf). Un po' di pragmatismo, se non altro, non farebbe male. La Grecia ha un economia azzoppata dalle misure di austerità, e il suo popolo ha espiato a sufficienza. L'Europa unita potrebbe, se lo volesse, risolvere una volta per tutte l'accrocchio ellenico e iniziare a pensare come un soggetto unito. Unito, si dice, perché non è che se la California fa bancarotta (è successo, nel 2008), gli Stati Uniti la espellono. Ci si mette assieme, si rafforzano i controlli, ma si riparte. Il debito Greco è di 320 miliardi di euro, un settimo di quello italiano. Il PIL della zona euro è di 10 mila miliardi, quello dell'Europa a 28 circa 17 mila miliardi. Certo, dirlo è una cosa, convincere i propri parlamenti ad approvarlo è un'altra. Non esistono mai soluzioni semplici, e chi dice "basterebbe fare così" dice quasi sempre una cosa sciocca. Però.
Al di là del merito delle misure che vengono proposte, credo che Tsipras abbia proprio giocato male le sue carte in questa partita. Ci aspettano giorni turbolenti, e io temo per la mia cara, cara Europa.

mercoledì 11 aprile 2012

Nel silenzio di Novye a Trento!


Nel silenzio di Novye - Lo zaino della vita

15 Maggio 2012 Ore 20:30

Teatro Concordia di Povo

via don Tommaso Dallafior 1, Povo (TN)



Una sanguinosa guerra, un viaggio per ricominciare, una speranza. A Novye Aldy, piccolo villaggio della Cecenia, Ramzan e suo figlio Šamil decidono di partire per fuggire da un presente annientante. Portano con loro uno zaino, poche provviste e un passato di sofferenze. Sullo sfondo, il conflitto ceceno nel suo aspetto più drammatico e umano, svuotato di statistiche ma colmo di paure, speranze, emozioni. Uno spettacolo in cui non sono le parole a pesare ma i silenzi, le pause, l'attesa che si genera tra il bagliore del lampo e l'arrivo del tuono. L'intreccio della narrazione è cadenzato da canzoni appositamente composte per lo spettacolo. Sul palco, oltre a Francesco Bussola, che dà voce alla storia di Ramzan e Šamil, Fabrizio Larcher (attore) e Michele Debortoli (chitarra e voce).


Come raggiungere il Teatro



Da Trento città:

Servizio urbano Trentino Trasporti Linea 5 fermata POVO Piazza Manci (Orari di andata e ritorno disponibili qui e qui. Ad ogni modo per il ritorno a Trento centro l'autobus più comodo passa alle 22:04)

Una volta arrivati alla fermata seguite questi passi:



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lunedì 9 aprile 2012

Une question de fierté.


Le recenti notizie provenienti dal fronte Lega possono stupire solo i più ingenui tra noi. Se davvero esiste ancora qualcuno che crede che si possa fare dell'ignoranza il fulcro dominante della propria azione politica e rimanere delle "brave persone", l'affaire Belsito dovrebbe chiarirgli un poco le idee. Ignoranza sono il "celodurismo", l'acqua del Po, i cavalieri teutonici. Ignoranza sono il secessionismo, la Padania e, permettetemi, il sostegno all'ultimo governo Berlusconi. Ignobile e becera ignoranza sono il razzismo, l'omofobia e il tricolore nel cesso.
Niente di cui stupirsi quindi. Potremmo piuttosto rimanere colpiti dal fatto che la signora Mauro, tanto citata in questi tempi di scaricabarile, sia Vicepresidente del Senato della Repubblica. Certo, il Presidente non è che sia tanto meglio, ma almeno non ha mai avuto la velleità di stabilire il record per aver presieduto la seduta più schizofrenica della storia repubblicana. È del dicembre 2010 la strabiliante performance della signora, che riuscì, in soli 20 secondi e tutto da sola ad approvare 3 emendamenti alla riforma Gelmini, di cui uno presentato dal Pd, che aboliva un articolo della riforma appena modificato. Una freccia, altro che Usain Bolt.
Ma lo scandalo che riguarda i fondi al partito ne porta a galla un altro, a mio parere molto rilevante. È notizia di cronaca che la pasionaria leghista, il di lei fiancè e il pargolo padano di ittica natura (leggi: il Trota) usarono i soldi dei "rimborsi" per comprarsi diplomi e lauree all'estero. Come scrive giustamente Silvia Truzzi sul Fatto Quotidiano, "in questi giorni non si fa che parlare di lauree e diplomi comprati come fossero una maglietta. Ma da quando?". Già, da quando? Non fosse già di per sé scandaloso il fatto che una persona non sia in grado di conseguire, senza giri di conio vario, un diploma di maturità, e che nonostante tutto riesca a divenire un'importante carica istituzionale, ci si potrebbe domandare come sia possibile che un uomo (o donna) politico trovi il coraggio di comprarselo. Troppo facile sarebbe ricordare che in Germania un ministro si è dimesso per aver copiato parte della tesi di dottorato, e che medesima sorte è toccata al Presidente della Repubblica Ungherese pochi giorni fa (ebbene sì, amo le preterizioni). Possibile che da noi le reazioni siano tanto diametralmente opposte? Si fa un gran parlare di uso illecito di fondi (che, per carità, rimane una pratica scandalosa), ma assai poco di dignità intellettuale.
Mi fa quindi particolarmente infuriare che il valore di una laurea sia interamente attribuito al titolo, e non all'acquisizione di competenza. Così come mi fa imbestialire che chi dovrebbe legiferare in materia di meritocrazia e cultura sia della stessa risma di tali personaggi. Non che questo sia una novità.

lunedì 26 dicembre 2011

Amicizia

Diceva Camillo Sbarbaro: amico è con chi puoi stare in silenzio. Niente di più vero. Spesso in amicizia è proprio il non detto ciò che conta. Meglio: è ciò che si dice nei modi meno convenzionali. Con uno sguardo, un sorriso, un abbraccio. Capita che la parola sia ostacolo, che sia capace di nascondere tante cose, oltre che a comunicare. Si può dire che sia una questione di intendimento, quasi telepatico. Ebbene, un amico sa di te cose che tu stesso fai fatica a riconoscere. O ad ammettere.
Ma amicizia è scambio: di opinioni, di emozioni, di preoccupazioni. È sentirsi a proprio agio. Ecco, è fondamentalmente questo: riuscire a stare bene in ogni situazione per il semplice fatto che insieme a te c'è quella persona. Non perché faccia o dica qualcosa di particolare. Solo perché è lì. 
Certo, a volte essere amico vuol dire sapersi fare da parte, andarsene. Sono i momenti più difficili, ma forse i più importanti. Come quelli in cui bisogna dirglielo che sbaglia, che proprio non è il modo giusto. E saperne accettare le critiche e gli insulti, perché è solo un momento, che poi passerà.
Condivisione e compassione, nel senso latino del termine. Sentirsi vicini anche se la vita ci porta lontani, e volere il bene dell'altro, fino in fondo. Poche cose al mondo valgono la pena di essere vissute se non c'è nessuno a cui raccontarlo, checché ne dicano i sedicenti solitari. Per qualcuno è proprio vero che l'amicizia è come la salute. Si accorge di quanto sia importante solo quando viene a mancare. Ed è l'infelicità più nera.
Sia chiaro: parlo di amicizia vera. Non quella presunta e sventolata tra il mafioso e i suoi accoliti, tra il teppista e la sua banda, tra il miserevole e il potente di turno. Non quella di ipocrita facciata, con la quale tante volte dobbiamo confrontarci. Di pugnali nella schiena ce ne sono stati tanti, nella storia. Chiedete a Cesare.
Amicizia è fratellanza scelta. Uno certo non può scegliersi i parenti, e fare in modo che essi siano anime a lui affini. Questo vale invece per gli amici, il che è eccezionale.
Ultimo avviso: non fatevi mai condizionare. Spesso si trovano amicizie vere e profonde nei posti e nelle persone più inaspettate, ed è questo il bello della faccenda. Vale anche il contrario. Per dirla con Hemingway, non bisogna giudicare gli uomini dalle loro amicizie: Giuda frequentava persone assolutamente irreprensibili.

Une petite société mauvais

Tempo fa ho affrontato un'amara quanto inutile discussione in merito al problema dell'immigrazione e dell'integrazione dei cittadini extracomunitari e non. I miei interlocutori erano due ragazze del PDL che, credo, bene esprimono l'idea che la grossa parte del volgo italico ha della situazione e quali siano le soluzioni prospettate. Ora la cosa in sé tragica è che tali opinioni sempre più spesso si riscontrano in persone culturalmente fornite (le due frequentano entrambe l'università, per quel che vale) e provenienti da aree politiche e sociali che assai inaspettatamente assumono posizioni xenofobe. Insomma, passi la Lega, che interpreta le più basse pulsioni della gente da bar (come dice Umberto Eco: "cos'è il leghismo, se non la storia di un movimento che non legge?"), ma altri partiti e altre estrazioni dovrebbero avere sensibilità diverse. C'è, evidentemente, un po' di Lega in ognuno di noi. Il razzismo è diventato endemico, e piglia tutti, c'è poco da fare.
Il discorso è inevitabilmente andato a finire sull'argomento moschee. Con il pretesto di "difendere" i valori e le tradizioni cristiane, molti sedicenti coscienziosi hanno più volte ribadito che no, non si hanno da fare. Ora, per quanto la Chiesa abbia molti difetti, un pregio che le va riconosciuto è quello di battersi per la fratellanza e l'integrazione, anche in Italia. Se è la stessa Chiesa ad affermare con forza che la libertà religiosa va protetta e diffusa, dovrebbe essere evidente a chiunque che chi si propone quale paladino (con tanto di elmo e armatura verde) della cristianità, non può poi sostenere tesi ad essa contrarie. Figurarsi. L'ipocrisia è la grande Regina di questa nostra società. Ella può, con un cenno, far mutare orientamenti e convinzioni, valori e morali. Le evoluzioni da saltimbanco che si sono viste al tramonto dell'età berlusconiana ne sono testimonianza. Non sono certo l'unica. Mancano, temo, le qualità che i patrioti risorgimentali auspicavano per l'Italia. La buona volontà, la ricerca del bene comune, il senso di sacrificio per ideali più alti del proprio benessere. Recita un'iscrizione affrescata sul soffitto di Palazzo Madama: (Italia) Sei libera, sii grande. Più che altro l'Italia in diverse fasi di questi 150 anni ha cercato di essere grossa. Grossa quando vaneggiava otto milioni di baionette, quando negli anni del boom imitò modelli che non le appartenevano, quando cominciò a pensare che il ladro è furbo e l'onesto è scemo. Il progressivo deteriorarsi della classe politica della Repubblica ha testimoniato e insieme plasmato il parallelo declino della stessa società. Così si è potuti passare senza strappi dall'essere popolo di migranti, laceri e discriminati, a popolo di leghisti, in Mercedes o con le toppe ai pantaloni, poco importa. Quando si parla di immigrati, siamo tutti d'accordo. Mica facile, in quest'Italia.






sabato 24 dicembre 2011

Fisica



Fisica. Una parola, pure corta. Leggera a dirsi, pesantissima a portarsi. Pesante non solo per il lavoro che indubbiamente comporta a chi vi si voglia avvicinare. Fisica è prima di tutto passione. Un morbo che se ti colpisce ti condanna. Condanna all'idea che una Legge comandi su tutto, e che queste scimmie sveglie, per caso o per virtù, possano riuscire ad sfiorarla. Solo sfiorarla, beninteso. È la antica, oscura passione dell'alchimista. Maledetto dagli uomini, con un obbiettivo sacrilego. Svelare il più profondo dei misteri, scoprire le gambe della Natura e coglierne il frutto più intimo. Provare insieme l'eccitazione del momento e il vago rimorso di compiere una violazione, di oltraggiare con la propria indagine zone inesplorate che mai avrebbero dovuto essere contaminate.
Fisica. Storia di uomini, prima di tutto. Personalità geniali che si sono susseguite ad aprirci un varco. Novelli Prometeo e poi veri e propri tedofori della ragione. Dobbiamo tanto a costoro, e tanto dovremo a coloro che li seguiranno. È riassunta qui, la vera dignità umana. Non solo ammirare, ma riuscire a capire e un poco a parlare il linguaggio di Dio. A sognare, come Egli fece quando creò il mondo. Farlo, però, con la tremenda consapevolezza che tutto questo può risolversi nella nostra distruzione, che, proprio come per l'antico titano, anche per noi potrebbe arrivare la punizione. Sta a noi evitarlo.
Fisica. Nonostante tutto, nulla distingue meglio un fisico dell'aggettivo curioso. L'amor di conoscenza (sake, direbbero gli anglosassoni) è motore primo di tutte le nostre azioni. L'uomo è un bambino mezzo cieco in un gigantesco negozio di giocattoli. Non afferra alla perfezione cosa siano gli oggetti che lo circondano, ma ne intuisce l'entità e il fascino che essi esercitano. E fa di tutto per afferrarli.
Fisica. È un modo di pensare e di agire. Razionalità, innanzitutto. Onestà intellettuale e riconoscimento dell'illogicità degli assoluti, perché il dubbio è metodo di progresso. Badate, questo vale in ogni settore e in ogni argomento: se un fisico non è un contestatore, nulla ha capito della sua materia, e bene lo sanno i miei compagni. Perciò siate indulgenti, perché in buona sostanza ci si può definire rompiscatole.
Fisica. Si è detto molte volte che follia e genialità spesso si confondono. Poche volte, invece, che è un modo di vivere maledettamente divertente. Non ci si può prendere troppo sul serio se è lo stesso Universo a non farlo. Inoltre gli ordini di grandezza del cosmo e la sua sostanziale indifferenza aiutano non poco a ridimensionarsi. Di questi tempi, non fa mai male.
Fisica. Amore, rabbia, esaltazione, frustrazione, gioia, affanno, giorni di gloria e padellate in faccia. In una parola: emozione. Provare per credere.